I dendriti in 60 anni di progressi nella fisiologia e nella patologia

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 12 dicembre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La prima lezione di neurocitologia, in genere, propone lo schematismo introduttivo dei dendriti quali costituenti di un compartimento recettivo contrapposto a quello trasmissivo rappresentato dall’assone. Ma basta andare un po’ avanti nello studio, per rendersi conto di una complessità affascinante: da quelli che si comportano come neuriti trasmettendo l’impulso a quelli raggruppati e distinti nello stesso neurone per sede e funzione, i dendriti presentano una varietà di caratteri strutturali e ruoli fisiologici che conferiscono loro la qualità di strutture fondamentali e imprescindibili per tutti i processi neurofisiologici sensoriali, motori e psichici.

Il loro ruolo nell’integrazione di migliaia di impulsi sinaptici ricevuti da ciascun neurone ha un rilievo cruciale e assoluto per comprendere come funziona il cervello. Da oltre mezzo secolo, studi basati su modelli in silico e lavori sperimentali in vitro, hanno rivelato che i neuroni possono realizzare una varietà di differenti forme attive e passive di integrazione sinaptica sugli impulsi che ricevono, ma solo di recente è stato possibile studiare questa integrazione nel cervello biologicamente attivo in vivo.

Greg Stuart e Nelson Spruston hanno proposto in una rassegna i progressi sperimentali compiuti in sei decadi di ricerca, che ci consentono di comprendere le complesse modalità adottate da singoli neuroni per integrare i propri inputs, ed hanno focalizzato l’attenzione sul ruolo dei dendriti nell’elaborazione cerebrale dell’informazione (Stuart G. J., et al. Dendritic integration: 60 years of progress. Nature Neuroscience 18: 1713-1721, 2015).

La provenienza degli autori è la seguente: Eccles Institute of Neuroscience and ARC Centre of Excellence for Integrative Brain Function, John Curtin School of Medical Research, Australian National University, Canberra (Australia); Howard Hughes Medical Institute, Janelia Research Campus, Ashburn, Virginia (USA).

Per introdurre l’argomento dell’articolo qui recensito e facilitarne l’apprezzamento anche da parte di lettori non specialisti dell’argomento, si propongono di seguito alcune nozioni di base e alcuni risultati della ricerca recente.

Prima che His coniasse il termine dendriti (da dendron = albero) per questi speciali processi della cellula nervosa, Deiters li aveva denominati prolungamenti protoplasmatici sulla base di una osservazione microscopica alla quale era stato attribuito un valore fisiologico: le caratteristiche interne di questi processi erano identiche a quelle del protoplasma del corpo cellulare del neurone, del quale furono ritenuti degli espansori di volume. Al contrario del neurite, detto da Golgi prolungamento nervoso[1] in contrasto con i prolungamenti protoplasmatici, questi ultimi presentavano la sostanza cromofila e il reticolo neurofibrillare del soma della cellula nervosa.

Fin dalle prime osservazioni microscopiche, furono descritti i caratteri essenziali e generali: i dendriti sono quasi sempre numerosi, sorgono dal profilo perimetrico della cellula nervosa ed hanno una base di emergenza di calibro maggiore del tronco principale, che tende progressivamente ad assottigliarsi lungo i rami. Si ramificano dicotomicamente ad angolo acuto - da ciò l’analogia con gli alberi - formando ramificazioni ricchissime, come quelle delle spalliere dendritiche delle cellule di Purkinje del cervelletto, o pur fitte ma meno dense ed espanse, come quelle delle cellule piramidali e di vari altri tipi neuronici cerebrali. Al contrario dell’assone, che si allontana molto dal pirenoforo, una caratteristica dei dendriti è quella di occupare in un’area prossima al corpo cellulare. Nei neuroni del sistema nervoso centrale rimangono tutti confinati nella materia grigia e non sono mai rivestiti da involucri mielinici come il cilindrasse.

In alcuni tipi di neuroni, tutti i dendriti hanno origine da un singolo tronco, in altri tipi di cellule nervose dal soma emergono più tronchi dendritici. A differenza dell’assone, i dendriti tendono ad assottigliarsi, anche se di poco, procedendo in direzione distale; in tal modo, il ramo che segue ha un diametro inferiore a quello che precede. I dendriti sono ricchi di microtubuli e microfilamenti, ma mancano di neurofilamenti. Rispetto ai neuriti, i microtubuli dei dendriti prossimali si distinguono per una polarità mista ed una proteina associata ai microtubuli distintiva, ossia MAP2. I dendriti prossimali, generalmente, contengono sostanza di Nissl e costituenti del Complesso di Golgi. Un sotto-insieme di mRNA neuronali è trasportato nei dendriti, dove la sintesi locale e il processing delle proteine si verifica in risposta all’attività sinaptica[2].

Morfologicamente può essere difficile distinguere piccoli assoni non rivestiti di mielina da dendriti dello stesso calibro. In assenza di strutture sinaptiche identificabili, la distinzione può essere operata in base al contenuto in neurofilamenti, che sono tipici dell’assone. Le regioni post-sinaptiche dei dendriti si rilevano sia lungo il tronco principale sia, più frequentemente, presso piccole protuberanze denominate spine dendritiche[3].

Il termine spine ha origine dall’aspetto microscopico di rami “spinosi” conferito da queste minute e numerosissime sporgenze del profilo alle diramazioni dendritiche osservate a bassa risoluzione, in preparati ottenuti mediante tecniche di impregnazione metallica o di colorazione. Tali formazioni, nelle quali si può distinguere un collo ed una testa che rappresentano due compartimenti fisiologici distinti, corrispondono ai terminali assonici che formano le sinapsi asso-dendritiche. La grande maggioranza delle spine occupa i dendriti periferici, ma in certi tipi neuronici sono presenti anche nei dendriti prossimali; sebbene sia un riscontro raro, sono state osservate, descritte e documentate, spine emergenti dal corpo cellulare. Il compartimento post-sinaptico della maggioranza delle sinapsi eccitatorie del sistema nervoso centrale è costituito da spine, anche se queste formazioni prendono parte ad una quota di sinapsi inibitorie.

Molte spine, considerate secondo il loro asse maggiore, hanno una lunghezza inferiore ai 2 μm, con una testa dal diametro di circa 1μm ed un collo generalmente più sottile[4]. In generale, le spine differiscono in forma e dimensione, ma i neuroni dello stesso tipo morfologico sono caratterizzati da un identico pattern di spine. È intuitiva la funzione di enorme espansione dell’area dendritica realizzata da questa miriade di protuberanze specializzate, che realizzano anche una compartimentalizzazione chimica ed elettrica dell’albero dendritico. È stato provato che la regione ristretta del cosiddetto collo della spina, limita la diffusione di ioni e messaggeri chimici, giocando un ruolo nell’induzione della plasticità impulso-specifica. È stato anche dimostrato che il diametro del collo è soggetto a regolazione, in tal modo consentendo una modulazione del flusso di segnali che vanno dalla spina al tronco dendritico.

Le spine sono fornite di un robusto citoscheletro basato su strutture molecolari di actina-miosina, che si ritiene consentano l’intensa motilità delle spine, dimostrata già oltre quindici anni fa mediante straordinari video microscopici[5]. Varie proteine che si legano all’actina sono presenti o concentrate nelle spine dendritiche, incluse la spinofillina-neurabina, l’α-actinina, la sinaptopodina e la drebrina. Il citoscheletro di actina è direttamente ancorato al blocco dei recettori post-sinaptici e regola la funzione recettoriale. Per converso, la funzione recettoriale regola la dinamica dell’actina così come la forma delle spine[6]. Le spine non contengono neurofilamenti e microtubuli, sebbene costituenti della PSD interagiscano biochimicamente con tubulina e MAP.

Le spine contengono almeno due classi di organuli intracellulari membranosi che per la maggior parte sono ascrivibili al reticolo endoplasmatico liscio. Nei neuroni piramidali della corteccia cerebrale e nei neuroni spinosi medi dello striato, il reticolo forma una struttura peculiare definita apparato della spina. Una delle funzioni importanti della struttura reticolare nella spina è contribuire alla regolazione locale della segnalazione e dell’omeostasi del Ca2+ attraverso i canali del calcio e i trasportatori del calcio presenti nella sua membrana.

Occasionalmente nelle spine dendritiche sono state viste e registrate in microfotografia vescicole di endocitosi ed esocitosi, che partecipano ai processi di turnover delle proteine integrali della membrana della spina stessa. Numerose evidenze supportano un importante ruolo dell’endocitosi dei recettori clatrina-dipendente nella regolazione della sensibilità post-sinaptica, suggerendo un nuovo significato di importanza critica per questi organuli. Infine, nel tronco dendritico principale, in prossimità dell’accesso al collo delle spine, si rilevano spesso dei poliribosomi, che hanno suggerito la possibilità di una regolazione locale della sintesi delle proteine delle spine in base ai patterns di attività sinaptica.

Invitando alla lettura dell’interessante rassegna di Stuart e Spruston, riportiamo qualcuno dei tanti aspetti che rendono lo studio dei dendriti di fondamentale importanza per la comprensione della fisiologia e della patologia cerebrale al livello cellulare.

I neuroni piramidali sono caratterizzati da due distinte arborizzazioni di prolungamenti dendritici denominati, per la loro sede rispettivamente alla base o all’apice della cellula, dendriti basali e dendriti apicali. Insieme con le dimensioni e la forma a sezione triangolare, questa disposizione dei dendriti costituisce un elemento essenziale di identificazione morfologica delle cellule piramidali, tuttavia non si conosce la precisa ragione funzionale né di questa configurazione, né della straordinaria abbondanza di questo tipo cellulare in tante regioni del sistema nervoso centrale, dalla corteccia cerebrale all’ippocampo. Relativamente di recente, studi condotti soprattutto sulla regione ippocampale CA1 e sul V strato della neocorteccia, hanno consentito di stabilire rapporti fra morfologia e funzione di queste cellule.

Nelson Spruston, sintetizzando quanto emerso dalla ricerca, afferma che i neuroni piramidali non sono solo identici, ma presentano principi funzionali comuni che possono essere verificati. In particolare, l’esistenza di domini dendritici con distinti impulsi sinaptici, eccitabilità, modulazione e plasticità, sembra essere un elemento comune che consente alle sinapsi formate in tutto l’albero dendritico di contribuire, secondo precise regole, alla genesi del potenziale d’azione nel neurone piramidale. Più specificamente, le proprietà emerse dalla sperimentazione supportano una varietà di meccanismi di rilievo-coincidenza che sembrano essere di cruciale importanza per l’integrazione sinaptica e per la plasticità[7].

Uno studio pubblicato due anni fa ha documentato, nei neuroni gangliari della retina, l’elaborazione da parte dei dendriti, mediante l’integrazione sinaptica, dei calcoli necessari a generare la selettività per la direzione di immagini visive in movimento[8].

Come è noto, nei disturbi dello spettro dell’autismo e nella sindrome dell’X fragile, si ha un’ipersensibilità reattiva agli stimoli sensoriali e una marcata ipereccitabilità neocorticale. Tale condizione funzionale sembra avere una definita base dendritica. Impiegando registrazioni elettrofisiologiche dei dendriti, tecniche di imaging del calcio, metodi biochimici e farmacologici insieme con un modello computerizzato, Yu Zhang e colleghi hanno accertato che questo difetto è almeno in parte attribuibile alla riduzione ed alla disfunzione di canali h- e BKCa presenti nei dendriti[9].

Infine, una importante focalizzazione dell’articolo mostra che, grazie alle nuove tecniche di studio di processi cellulari nel cervello attivamente funzionante, è stato accertato che molte delle forme di integrazione sinaptica tradizionalmente scoperte e studiate in vitro, hanno luogo ordinariamente nell’animale vivo in condizioni di veglia e normale attività.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-12 dicembre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Il neurite o assone fu denominato cilindrasse da Purkinje che, inizialmente, intese con questo termine designare esclusivamente l’assone rivestito di guaina mielinica.

[2] Scott T. Brady & Leon Tai, Cell Biology of the Nervous System, in Basic Neurochemistry (Brady, Siegel, Albers, Price) p. 10, AP, Elsevier 2012.

[3] Spacek J., Anat Embriol. (Berlin) 171: 235-243, 1985.

[4] Harris & Kater, Annu Rev Neurosci. 17, 341-371, 1994.

 

[5] Fischer M., et al., Neuron 20: 847-854, 1998; van Rossum D. & Hanisch U. K., Trends Neurosci. 22: 290-295, 1999.

[6] Kins S., et al. Nature Neuroscience 3: 22-29, 2000.

[7] Spruston N. Nature Reviews Neuroscience 9, 206-221, 2008.

[8] Sivyer B., et al. Nature Neuroscience 16, 1848-1856, 2013.

[9] Zhang Y., et al. Nature Neuroscience 17, 1701-1709, 2014.